La Comunità di Sant’Egidio e il Covid-19
Augusto D’Angelo, dal 1983 si occupa dei più deboli presso la Comunità di Sant’Egidio oggi coordinatore dei senza dimora. Ci racconta la storia di questa emergenza sanitaria per le persone più fragili.
Il virus che ci ha costretti a casa è stato per alcuni un modo per sentire ancora più forte la solitudine e le disparità. Nella mensa della Comunità di Sant’Egidio in via Dandolo a Roma, si è registrato un aumento del 30% dei pasti caldi serviti, sono raddoppiati i piatti d’asporto distribuiti durante le cene itineranti e aumentati notevolmente i pacchi spesa. Oltre 20.000 sono stati distribuiti in due mesi. Il segretario generale della Comunità, Paolo Impagliazzo, durante una conferenza stampa per presentare un progetto insieme a Google.org, divisione filantropica di Google che ha effettuato una donazione per aiutare ad intensificare l’impegno, ha detto “le nostre porte erano aperte mentre la città era chiusa”.
In questa frase trovo tutto il senso del lavoro dei volontari che durante il lockdown hanno lavorato come e più di sempre. Non solo per portare i beni di prima necessità quali cibo, medicine o abiti, ma anche e soprattutto la solidarietà e l’amicizia. Un vero balsamo nella sofferenza.
Ma com’è stato possibile fronteggiare l’emergenza
Aumentavano i bisognosi e diminuiva il posto per accoglierli. Aumentava quindi la necessità di cibo e di mani che aiutavano.
“Raccontiamo questa storia così recente e così, per certi versi drammatica, ma anche appassionante”. Così Augusto D’Angelo. “Da un giorno all’altro ci siete trovati di fronte a una città che chiudeva ed hanno chiuso anche molti luoghi che aiutavano i poveri”. Basti pensare ad un fornaio che regala un pezzo di pizza o a un bar che permette a una persona di usare il bagno. Improvvisamente tutti questi punti di riferimento sono venuti meno a discapito di persone che già non hanno nulla.
Mentre noi eravamo obbligati a stare a casa qualcuno una casa alla quale tornare non l’aveva. La Comunità di Sant’Egidio, invece, non solo ha accolto queste persone, ma si è adoperata per andare ad aiutarle ovunque loro si trovassero. “E poi c’è il capitolo delle persone che hanno cominciato a chiedere aiuto” continua D’Angelo.
“C’è tutto un mondo di popolazione romana che, impiegata in maniera flessibile e talvolta non contrattualizzata, penso a colf, ad alcuni che lavoravano nell’edilizia o nella ristorazione, si sono ritrovati da un giorno all’altro senza lavoro, senza nessun tipo di garanzia sociale. Finiti i soldi che avevano e finiti i pochi risparmi non avevano nulla da mangiare”. Ecco spiegato l’aumento di ospiti verso alla Comunità di Sant’Egidio, persone che solo poco prima potevano provvedere a loro stesse e magari alla famiglia.
Da un giorno all’altro non avevano più nulla da mettere in tavola. In questo si è dimostrato all’altezza e capace fronteggiare l’emergenza il terzo settore che ha provveduto ad appianare carenze e soddisfare necessità.
Hanno raggiunto 20 mila famiglie i pacchi della comunità di Sant’Egidio, tendenzialmente tra le 60 alle 100.000 persone che hanno potuto letteralmente mangiare grazie a questo aiuto.
La corsa alla solidarietà
Oltre ad aver bisogno di più cibo, servivano anche più volontari, un numero maggiore di punti di smistamento e spazi più ampi per accogliere le tante persone rispettando la regola del distanziamento sociale.”Si è creato un grande puzzle di solidarietà” D’Angelo ci fa qualche esempio nell’intervista che trovate a fondo pagina.
Non posso esimermi dal chiedere come, da loro osservatorio, le persone hanno ricevuto il sostegno nella forma del buono spesa e buono pasto.
“Il problema è che lo strumento dei buoni spesa è stato attivato, ma richiedeva, naturalmente, del tempo per passare alla realizzazione pratica. Quel ponte temporale è stato molto riempito dal terzo settore, da Sant’Egidio, dalla Caritas e da tanti che hanno contribuito a sfamare e a dare pacchi alimentari a chi ne aveva bisogno. Poi i buoni pasto e buoni spesa hanno cominciato ad arrivare, Il problema è che nel platea di chi ha fatto domanda il Comune doveva distinguere tra chi aveva diritto a chi non aveva diritto.
Il tutto era legato ad un problema di residenza nei municipi… per quello che ci riguarda noi abbiamo visto che in alcuni casi hanno cominciato ad arrivare… debbo dire che sono sufficienti? Che tutti quelli che ne avevano diritto lo hanno ricevuto? Questo sinceramente non lo so…”.
In effetti anche noi sappiamo di persone che hanno fatto la richiesta a marzo e ad aprile ma ancora non hanno ottenuto nulla
Mi piace quello che Augusto D’Angelo, docente universitario, mi risponde sul finale della nostra conversazione. “Io ritengo che tutti abbiano diritto ad avere sempre sogni e speranze. C’è il ruolo di accompagnamento nei confronti dei giovani che hanno sogni e speranze nel far vedere, anche dal punto di vista di un docente, quali sono i sogni per cui vale veramente la pena di spendere la vita e quali vanno perseguiti. Allo stesso tempo bisogna tener vivi o ravvivare anche i sogni e le speranze di chi vive in strada… Vivere in strada non è una condanna, non è una condizione in cui si nasce e non è una condizione in cui si è per forza condannati a vivere sempre.
La povertà e la strada possono essere una parentesi che si apre a un certo punto della vita ma che si può anche chiudere. Spesso e volentieri e chiuderla da soli non è semplice ma con l’aiuto di tanti con la sensibilità, con il sostegno, la compagnia e le idee di tanti le parentesi di povertà si possono chiudere. E l’esperienza quotidiana di Sant’Egidio che ha tratto dalla strada negli ultimi 4/5 anni almeno 200 persone che prima ci vivevano gli adesso non ci stanno più”.
È possibile sostenere la Comunità di Sant’Egidio in molti modi, con delle donazioni di beni e denaro o anche offrendosi come volontario.
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