Bullismo a scuola: ragazzo disabile torturato dai suoi compagni
Ancora un increscioso caso di bullismo a scuola: coinvolto un ragazzo disabile romano, martoriato dai suoi compagni di classe con mozziconi di sigaretta.
I casi di bullismo registrati quotidianamente nel nostro paese risultano oramai incalcolabili: tra pestaggi, maltrattamenti e minacce, questa vera e propria piaga sociale sembra non trovare alcuna soluzione d’arrestamento. Al contrario, sembra ingigantirsi di anno in anno. Nei vari episodi di bullismo a scuola riscontrati all’interno degli istituti italiani, i bersagli maggiormente coinvolti sembrano i disabili, e la storia che vi raccontiamo oggi è quella di Manuel, ragazzo 19enne tormentato dai suoi compagni di scuola da ormai 4 anni, da quando s’è iscritto al primo anno ad un istituto di Vigna Murata, in periferia di Roma.
Manuel soffre di ritardo cognitivo, ma ciò non gli ha impedito di iscriversi a tale istituto nel 2009; peccato che lì siano cominciati i problemi. Secondo quanto testimoniato dalla madre sulle pagine de “Il Messaggero”, il ragazzo verrebbe quotidianamente martoriato dai suoi compagni di classe, che durante la pausa si “divertono” a spegnergli sulla pelle i mozziconi delle sigarette da loro fumate. Dopo aver visto il figlio con tali bruciature, la madre ha cominciato a sporgere denuncia e a parlare con gli insegnanti: uno di loro ha deciso di rispondere con un lapidario quanto inquietante <<Perché non gli cambi scuola?>>, sintomo di un totale menefreghismo e di una volontà concreta di non volersi accollare alcuna responsabilità in merito a tale situazione, responsabilità per cui, al contrario, gli insegnanti vengono stipendiati, oltre che per esporre ai propri alunni concetti, paragrafi e capitoli.
«Leveresti un sogno a tuo figlio? Perché devo essere io a togliere la vittima e non loro il carnefice?» – è stata questa la risposta della madre di Manuel all’inquietante quesito avanzatole dal prof. Dalle prime denunce fino ad oggi, sembra esser cambiato poco: per ben undici volte il ragazzo finisce al pronto soccorso, sempre per bruciatura da sigaretta. Sempre secondo quanto riportato dalla madre, Manuel prova addirittura a difendere i suoi carnefici, forse per proteggerli, o per paura di subire torture ancora più atroci: <<Mamma non l’hanno fatto apposta, mi bruciano, ma è un gioco>>.
Matilde, la madre di Manuel, decide nel 2012 di denunciare il tutto alla Procura, ma i fatti sembrano non sussistere. L’inchiesta finisce in via d’archiviazione perché “il ragazzo non è in grado di rendere testimonianza”. Un vero smacco per Matilde, che alla fine decide di mostrare le foto delle bruciature, cercando ribellarsi ad un sistema che sembra andargli contro:
Perché non gli affiancano qualcuno che lo aiuti a testimoniare? Un figlio disabile, non è un figlio di nessuno. Io l’ho portato in grembo per 9 mesi e sono 20 anni che lo cresco, orgogliosa di lui. Eppure, a volte, mi sento davvero sola.
Nonostante le denunce, nonostante le foto, la preside della scuola continua a negare:
Nel nostro istituto sono state eseguite indagini approfondite, ma non è emerso nulla. Il ragazzo è seguito anche da insegnanti di sostegno. Noi sappiamo quello che accade qui dentro, non possiamo sapere ciò che succede fuori.
Insomma, alla fine tutti se ne lavano le mani, intascano il proprio stipendio e si liberano delle proprie responsabilità. Come al solito, ci troviamo di fronte ad un problema di mentalità: a meno che la storia di Manuel, raccontata dalla madre Matilde, non risulti un clamoroso bluff (non vogliamo neanche pensarlo), per l’ennesima volta il sistema scolastico ha dimostrato di venir meno nell’istruire i propri studenti sul lato prettamente educativo e disciplinare, occupandosi esclusivamente di quello nozionistico.
Programmi, interrogazioni, biografie, formule matematiche e affini sembrano ormai gli unici motivi per cui la scuola dovrebbe esistere: basta organizzare come si deve il programma da illustrare, gli esercizi da assegnare ed il lavoro è finito lì; nel frattempo, all’interno dell’edificio scolastico, i ragazzi possono tranquillamente bruciare le sigarette sulla pelle degli altri, tanto per il corpo scolastico quella non è loro responsabilità, ma di altri. Peccato che i fatti avvengano, per l’appunto, dentro le mura dell’istituto, e non fuori, visto che si è parlato chiaramente di episodi avvenuti durante l’intervallo, e non certo al termine delle lezioni. Nessuno vede, sente o parla, come le “tre scimmie sagge”.
Un film già visto: i bulli coinvolti in tali episodi, spesso e volentieri, sono “avanzati di livello”, passando allo stato di delinquenti, sempre più diffusi nel nostro paese. In tal caso, gran parte delle responsabilità della generazione di tali individui sta nell’educazione, di genitori e, per l’appunto, scuola, che se ne lava totalmente le mani, come Ponzio Pilato. Dov’è lo stato? Dov’è la scuola? Nel vocabolario italiano esiste più la parola responsabilità? A quanto pare, no, ed è quindi anche colpa di tale mancanza di controllo che il tasso di criminalità in Italia è cresciuto così tanto negli ultimi anni.
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