Giovanni Rubattu intreccia botteghe, rivoluzione industriale e sfide attuali: un saggio sulla cultura materiale e la dignità del lavoro.
“L’officina del mondo. L’artigianato tra lotte sociali e cultura materiale” è un saggio che riporta al centro il lavoro artigiano come pratica capace di generare identità, legami e senso civico. Pubblicato da SBS Edizioni nella collana Meraki e uscito il 27 ottobre 2025, il volume di Giovanni Rubattu attraversa secoli di storia, connettendo botteghe medievali, rivoluzione industriale e scenari contemporanei.
Non indulge nella nostalgia: mostra come i saperi incorporati nei gesti, nella cura dei materiali e nella responsabilità verso la comunità siano stati spesso marginalizzati, ma non cancellati. L’officina diventa lente critica del presente: luogo di prossimità, apprendimento situato e qualità condivisa. Tra pagine e riferimenti, emergono figure collettive, conflitti, utopie concrete e istituzioni del lavoro che hanno cercato di coniugare bellezza, equità e dignità professionale, offrendo strumenti utili a formazione, impresa, politiche pubbliche e cultura.
Il libro evidenzia la frattura imposta dalla meccanizzazione, quando tempi, gerarchie e standard industriali ridisegnano il rapporto tra maestro, apprendista e comunità di pratica. Ne emergono perdite e riconfigurazioni: la standardizzazione comprime l’autonomia, ma i saperi locali migrano e si riorganizzano. Le prime resistenze non nascono soltanto in fabbrica: affiorano in botteghe e mestieri minacciati, che diventano laboratori di mutualismo, didattica del fare e nuove tutele. La prospettiva si allarga oltre la cronaca del movimento operaio, abbracciando una “storia delle classi lavoratrici” in cui artigiani, salariati e piccoli maestri costruiscono coscienza e istituzioni.
Tra archivi e pratiche vive, il gesto artigiano riappare come archivio operativo: una riserva di competenze, etica e responsabilità da cui ripartire per progettare futuro, senza cedere al mito della pura efficienza.
Dal telaio alla fabbrica
Dalle città del Trecento ai distretti protoindustriali, l’organizzazione corporativa regola accesso al mestiere, qualità e apprendistato, ma alimenta anche tensioni tra Arti maggiori e minori. La rivoluzione industriale concentra il controllo dei processi, frammenta le competenze e trasforma il prodotto in funzione parziale. In questa traiettoria, la perdita di autonomia convive con nuove forme di solidarietà e con la costruzione di identità collettive. Il volume illumina il crinale: mentre la macchina impone ritmi e standard, comunità di pratica e scuole del lavoro custodiscono e rinnovano i saperi.
Dalla bottega al laboratorio, la memoria del “fare” non è reliquia ma risorsa politica: consente di rinegoziare qualità, responsabilità e valore d’uso, orientando transizioni tecnologiche e climatiche senza sacrificare dignità, sicurezza e senso del lavoro.
Scuole, movimenti, utopie concrete

Dall’Arts and Crafts al Bauhaus, fino a movimenti novecenteschi e pratiche contemporanee, il libro legge i tentativi di ricucire estetica, funzione e giustizia del lavoro. Non icone museali, ma cantieri di pedagogia e produzione: curricoli, laboratori, reti tra botteghe, scuole, imprese e territori. Il saper fare emerge come linguaggio condiviso che incorpora diritti, trasparenza di filiera e cura del bene comune.
Anche craftivism e pratiche urbane restituiscono all’artigianato una voce pubblica, capace di rigenerare luoghi e legami sociali. Così, l’oggetto ben fatto diventa esito di una responsabilità diffusa, dove qualità significa anche accessibilità, sostenibilità e tutela del lavoro. Copertina Officina del mondo
Perché leggerlo adesso
Nel tempo di piattaforme e automazione, “L’officina del mondo” offre una bussola per ripensare politiche educative, modelli produttivi e welfare di filiera. La tesi è chiara: riconoscere i saperi artigiani come patrimonio attivo aiuta a disegnare economie più eque, filiere trasparenti e comunità resilienti. Il volume parla a studiosi e professionisti di cultura materiale, design e storia sociale, ma anche a chi governa processi di innovazione.
È un invito a rimettere le mani nel tempo: usare la memoria del fare per coniugare bellezza, equità e sviluppo sostenibile, trasformando l’officina in un laboratorio di futuro.
L’autore
Giovanni Rubattu (Sennori, 1958) ha studiato Architettura a Firenze. Artigiano e designer, ha svolto attività sindacale nella Fillea CGIL e come presidente dei Cobas Empoli-Valdelsa, occupandosi di sicurezza e diritti del lavoro, con diverse pubblicazioni a carattere sindacale.
Dal 2009 è tornato a operare nel mondo dell’artigianato, coordinando associazioni toscane e partecipando a incontri pubblici su cultura materiale, territorio e politiche del lavoro. La biografia completa è riportata in coda al volume.
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