Scopri perché un prestito può essere rifiutato anche con reddito stabile e come comportarsi nei 90 giorni successivi per migliorare il profilo creditizio ed evitare nuovi rifiuti.

Ottenere un prestito non è mai un diritto garantito. Anche chi ha un lavoro stabile o non presenta segnalazioni nei database creditizi può vedersi rifiutata una richiesta da una banca o da una finanziaria. Le ragioni sono molteplici e spesso non del tutto intuitive: reddito insufficiente, documentazione incompleta, storico creditizio incerto, ma anche una semplice valutazione discrezionale dell’ente erogatore.

Ricevere un rifiuto non significa però chiudere la porta all’accesso al credito. È importante capire perché è successo, come comportarsi nei giorni e nei mesi successivi, e come evitare di peggiorare il proprio profilo creditizio. A volte basta attendere, altre volte serve correggere il tiro.

 

Le cause principali di un rifiuto: cosa valutano davvero banche e finanziarie

Dietro il rifiuto di un prestito non c’è mai una sola motivazione. L’istruttoria si basa su una combinazione di fattori: il primo è la capacità di rimborso, ovvero il rapporto tra reddito netto e rata mensile. In genere, questa non deve superare il 30-35% del reddito. Se la rata richiesta eccede tale soglia, la domanda viene automaticamente considerata troppo rischiosa.

Altro elemento decisivo è la stabilità del lavoro. Un contratto a tempo determinato, part-time o intermittente pesa negativamente, soprattutto se prossimo alla scadenza. Ma anche chi ha un contratto stabile può essere penalizzato se ha altri finanziamenti in corso, scoperti sul conto o un indebitamento complessivo troppo elevato.

C’è poi il tema dello storico creditizio, registrato nei SIC (Sistemi di Informazioni Creditizie) come CRIF o Experian. Anche un semplice ritardo nei pagamenti passati può portare a una segnalazione, che resta visibile per mesi o anni a seconda della gravità. Certo, una richiesta rifiutata non equivale a essere “cattivo pagatore”, ma rimane tracciata per 90 giorni, durante i quali è sconsigliato fare nuove richieste.

 

Cosa fare dopo un rifiuto: come comportarsi (bene) nei 90 giorni successivi

Il primo errore da evitare dopo un rifiuto è l’impulsività. Inviare subito nuove richieste a più istituti di credito è controproducente: ogni richiesta viene registrata nei SIC e, se avviene in modo ravvicinato, genera un’immagine di instabilità o urgenza finanziaria. Meglio invece aspettare almeno 90 giorni: tempo utile affinché la segnalazione sparisca e si possa ripresentare la domanda in modo più solido.

Nel frattempo, è utile chiedere all’ente erogatore il motivo del rifiuto. Anche se non esiste l’obbligo di dettagliare ogni elemento, il cliente ha diritto a una spiegazione generale. Con queste informazioni, si può agire in modo mirato: estinguere piccoli debiti in corso, ridurre la richiesta di importo, allegare garanzie come un co-obbligato o un garante solido.

In parallelo, è buona prassi verificare il proprio profilo creditizio: richiedere una visura CRIF o CTC è gratuito una volta l’anno. In caso di errori o dati obsoleti, è possibile chiedere la rettifica.

Se non ci sono segnalazioni negative e il rifiuto è stato legato a policy interne della banca, si può anche valutare un altro istituto con criteri più flessibili. In quest’ultimo caso risultano molto comodi i comparatori online, che permettono di mettere a confronto le proposte di diverse finanziarie contemporaneamente, per trovare quella più adatta alle proprie esigenze. Alcuni, come Facile.it o Prestiti.it, permettono anche di sapere con quale finanziaria si hanno maggiori possibilità di ottenere il prestito, in modo da ridurre al minimo l’eventualità di un rifiuto.

 

Alternative da considerare (e quando riprovare)

Quando un prestito personale viene rifiutato, non tutte le strade sono chiuse. Una cessione del quinto, per esempio, può essere più accessibile se si ha un lavoro da dipendente o una pensione, perché la rata viene trattenuta direttamente alla fonte.

Anche i prestiti con garante o i prestiti finalizzati (legati a un acquisto specifico) possono offrire maggiori probabilità di approvazione, se ben documentati.

È fondamentale però valutare i tempi. Se il rifiuto è stato appena ricevuto, è quasi sempre meglio attendere: ripresentare domanda dopo 90 giorni offre più possibilità di successo.

A volte, basta modificare l’importo, allungare la durata del rimborso o allegare un documento in più per migliorare notevolmente il proprio “scoring” e ottenere una delibera positiva.

Un prestito rifiutato può sembrare una battuta d’arresto, ma è spesso solo un segnale: c’è qualcosa da sistemare, chiarire o calibrare meglio. Il vero errore non è ricevere un “no”, ma insistere senza capire il motivo, peggiorando la propria affidabilità.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

By SenzaBarcode Redazione

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