In Incubi di un mostro, Sara Trevisan affronta le paure e le solitudini dell’animo umano. Leggi l’intervista per scoprire di più.

Incubi di un mostro, di Sara Trevisan, pubblicato da Argentodorato Editore, è un’opera che esplora i lati più oscuri dell’animo umano attraverso una narrazione intensa e visionaria. Il libro è stato selezionato per la vetrina letteraria Casa Sanremo Writers 2025, un riconoscimento che ne sottolinea il valore letterario e la profondità psicologica. Trevisan accompagna i lettori in un viaggio nei meandri dell’inconscio, portandoli a confrontarsi con i propri timori, tra metafore e simbolismi che evocano un senso di inquietudine e introspezione. In questa intervista, cercheremo di capire come l’autrice abbia dato vita a questo universo di incubi e riflessioni.

Da dove nasce l’idea di esplorare l’inconscio e i lati più oscuri della psiche umana in Incubi di un mostro? Cosa ti ha spinto a intraprendere questo viaggio letterario?

L’idea è nata spontaneamente il giorno in cui mi sono posta di fronte all’incredibile quantità di scritti che avevo collezionato negli ultimi 30 anni. I miei scritti sono sempre stati una sorta di specchio dei miei stati d’animo, un dialogo intimo con le mie paure, le mie speranze e le mie contraddizioni. Incubi di un mostro propone le storie o i momenti salienti della vita di alcune persone che, ognuno a suo modo, devono legittimare la propria esistenza nel mondo, un compito che, nella mia vita, sento di condividere profondamente.

Esplorare l’inconscio e i lati oscuri della psiche umana non è stata una scelta deliberata, ma piuttosto il riflesso del viaggio che percorro nella mia vita: ogni pagina rispecchia i passi che compio verso una maggiore consapevolezza di me stessa, delle mie ombre e delle mie luci. Scrivere per me non è solo un atto creativo, ma un modo di vivere. Non riesco a separare le due cose: vivere significa scrivere, e scrivere significa dare forma al caos che mi circonda e che mi attraversa.

Incubi di un mostro è quindi la naturale conseguenza di questo legame tra vita e scrittura, un’opera che rappresenta non solo la mia esplorazione interiore, ma anche un invito al lettore a guardarsi dentro, affrontando le proprie paure e legittimando, a sua volta, il proprio essere.

Nel tuo libro, i confini tra sogno e realtà sembrano sfumare. Quanto credi che le esperienze oniriche influenzino la nostra vita quotidiana e il nostro modo di percepire la realtà?

Credo profondamente che i sogni siano un mezzo straordinario attraverso cui la nostra psiche e la nostra anima elaborano le esperienze vissute, trasformandole in qualcosa di più grande, spesso inaccessibile alla mente conscia. Per me, il sogno è un linguaggio simbolico che non solo rielabora ciò che viviamo, ma spesso ci offre messaggi che vanno oltre la nostra comprensione immediata.

Ci sono momenti in cui i sogni mi lasciano intuizioni così nitide e potenti da cambiare il mio modo di percepire la realtà. Mi è capitato di svegliarmi con frasi incredibilmente significative, come quella che ho scritto nel testo Il voto: “C’è chi il tempo lo vive e chi il tempo lo conta”. Oppure ricordo la domanda della ragazza priva di pupille e che ho trascritto in La culla dell’esistenza: “Hai avuto la madre che avresti voluto avere?”.

Queste esperienze oniriche mi lasciano qualcosa di prezioso, una sorta di dono che non è sempre “mio”, come se arrivasse da un altrove che non riesco a definire. Chissà da dove provengono queste intuizioni: dall’inconscio collettivo, da una connessione con qualcosa di superiore, o forse da parti di me stessa che non comprendo ancora appieno? Non lo so e in effetti non mi interessa saperlo. Accolgo ciò che arriva con gratitudine e…curiosità.

La struttura del libro è suddivisa in atti che rimandano quasi a una scenografia teatrale. Cosa ti ha portato a organizzare il testo in questo modo e quale significato attribuisci a ciascun atto?

Ho scelto di suddividere il libro in atti perché volevo che il lettore avesse l’impressione di assistere a una rappresentazione teatrale. Ogni atto rappresenta una fase del viaggio interiore del protagonista, una tappa simbolica verso la scoperta o il confronto con i propri demoni, che io chiamo ‘incubi’. Gli incubi sono ciò che ci mostrificano. Questa struttura riflette anche il mio approccio caotico e libero alla scrittura: ogni atto può essere letto indipendentemente, come se fosse una scena a sé, senza perdere il filo dell’opera. È un invito al lettore a esplorare il libro secondo il proprio ritmo e la propria curiosità, vivendo ogni atto come un quadro unico, ma collegato agli altri da un filo emotivo comune.

I tuoi personaggi vivono momenti di profonda solitudine e introspezione. Qual è, secondo te, il ruolo della solitudine nell’affrontare i propri demoni interiori?

La solitudine è fondamentale. È uno spazio che, per quanto possa essere doloroso, ci costringe a guardarci dentro, senza distrazioni, senza maschere. È lì che incontriamo i nostri incubi: quando siamo soli con i nostri pensieri e non abbiamo altra scelta che affrontarli. In Incubi di un mostro, la solitudine è quasi un personaggio a sé, una presenza costante che accompagna i protagonisti e li guida nel loro percorso. Non la vedo come una condizione negativa, ma come un’opportunità di trasformazione. È solo quando riusciamo a convivere con la solitudine che possiamo davvero conoscerci e, forse, trovare un equilibrio con ciò che ci spaventa.

La copertina è evocativa e sembra riflettere il contenuto del libro. Quanto è stato importante per te lavorare sull’aspetto visivo dell’opera e cosa speri che il lettore possa percepire al primo sguardo?

La copertina doveva essere una sintesi visiva del viaggio emotivo e simbolico che si trova all’interno del libro. È una sorta di porta d’ingresso, e ho voluto che fosse evocativa, capace di catturare l’attenzione e di trasmettere al lettore una sensazione immediata di inquietudine e introspezione.

Uno degli elementi più significativi è la ragazza ferita, che appare fragile e vulnerabile, ma che allo stesso tempo è posta in relazione con il mostro alle sue spalle. La creatura la abbraccia o la afferra? Questo dubbio è fondamentale: quel mostro rappresenta una dualità, un simbolo che incarna sia il pericolo che la salvezza. Per me, la paura che esso evoca è anche un invito a riflettere sul nostro rapporto con i nostri timori. Spesso vediamo la paura solo come una minaccia, ma in realtà può essere un’alleata preziosa, una guida che ci protegge.

By SenzaBarcode Redazione

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