San Camillo, quale futuro per l’Ucri?
Occhi puntati sulle sorti dell’Unità di Cure Intensive Residenziali, l’Ucri, il delicato reparto del San Camillo e costituito da pazienti in stato vegetativo e di minima coscienza che rischia la chiusura.
A porre l’accento sulla questione e a lanciare l’allarme in queste ore, a margine delle comunicazioni rese note nella diffida diramata dal Comitato, è stato Giacomo Giujusa, Presidente del Comitato Ridivita (Riabilitiamo la dignità di vita) associazione di familiari e amministratori di sostegno dei pazienti ricoverati presso la struttura.
All’interno del documento, diramato dal Comitato, si legge che “si rappresenta che, in data odierna (23 marzo, n.d.r.), il Primario dell’Ucri, Dr. Claudio Granato, ha comunicato agli Amministratori di sostegno la decisione della Direzione aziendale di chiudere l’Unità di cure residenziali intensive per fare posto ad un reparto di cura per malati di Covid-19 con contestuale trasferimento dei fragili pazienti ivi domiciliati presso altre strutture convenzionate della Regione Lazio”.
L’Ucri, realizzato nel 2011
e inizialmente collocato presso l’ex struttura ospedaliera Forlanini da un progetto regionale in stato vegetativo e di minima responsività, è attualmente ubicato al sesto piano del padiglione Puddu. L’edificio, capiente e con ingresso su via Ramazzini, potrebbe risultare sufficientemente isolato e, anche per questo, è stato individuato come possibile soluzione conforme per ospitare pazienti affetti da Coronavirus.
“In questi anni” emerge dalla diffida del Comitato Ridivita “l’Ucri ha dimostrato di poter venire incontro alle esigenze dei pazienti in stato vegetativo e di minima responsività sopperendo al loro percorso riabilitativo, con il lavoro quotidiano del personale e con il supporto dei familiari. La riabilitazione di questi fragili pazienti è un processo lento, fatto di dedizione e attenzione costanti, che non può essere interrotto e ricostruito altrove senza l’esperienza e la continuità del personale medico, infermieristico, degli operatori sanitari e dei fisioterapisti e senza il supporto della struttura ospedaliera che permette di curarli e di preservare la loro dignità.
Non si può pertanto pensare di chiudere una unità funzionante
deportandone altrove i pazienti e smembrandone valori, esperienza, conoscenze e qualità. Pur comprendendo l’urgenza di predisporre posti letto nell’Azienda Ospedaliera è doveroso evidenziare che il Padiglione Puddu si trova a ridosso del perimetro ospedaliero e a ridosso del quartiere abitato non essendo un edificio isolato come altri nel nosocomio e non possedendo le caratteristiche dell’Ospedale Spallanzani o del dismesso Forlanini. Inoltre, la vita di pazienti tanto fragili potrebbe essere messa a rischio sia dallo spostamento in altre strutture che dalla scelta di aprire reparti per malati infettivi Covid-19 all’interno del medesimo edificio”.
L’azienda ospedaliera sta valutando anche altre soluzioni, ma punto nevralgico della situazione sono i contagi da Covid-19. Qualora questi ultimi dovessero aumentare, il padiglione Puddu potrebbe tornare a costituire, per il San Camillo, una via percorribile per cercare di fronteggiare la situazione sanitaria che ha preso piede in queste settimane in Italia.
Non resta che attendere ulteriori sviluppi sulla vicenda. Ma, a fronte dell’ipotesi chiusura di un reparto composto da pazienti, fragili e immuno depressi, in stato vegetativo e di minima responsività, sono intanto partite, oltre la nota del Comitato Ridivita, delle diffide, firmate dai familiari e amministratori di sostegno dei pazienti.
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