Arte e Cultura

Agamennone di Fabrizio Sinisi al Teatro Romano di Ferento

Paolo Graziosi e Daniela Poggi protagonisti di Agamennone di Fabrizio Sinisi (da Eschilo), regia di Alessandro Machìa. Lunedì 8 agosto al Teatro Romano di Ferento.

Agamennone. Ventiquattro ore. Tre donne e un solo uomo destinato a morire. Dopo il grande successo dell’anteprima dello scorso 14 luglio al Teatro Romano di Falerone parte il 6 agosto nel Teatro Greco di Locri la tournée estiva di Agamennone, il testo da Eschilo della giovane rivelazione Fabrizio Sinisi, con protagonisti Paolo Graziosi e Daniela Poggi, in scena insieme ad Elisabetta Arosio e Valeria Perdonò, con la regia di Alessandro Machìa.

Prodotto dalla Compagnia Lombardi-Tiezzi in collaborazione con AC Zerkalo Agamennone si avvale delle scene di Elisabetta Salvatori, dei costumi di Sara Bianchi e delle musiche di Francesco Verdinelli.

Rassegna Anfiteatro Festival

La tournée proseguirà poi l’8 agosto nel Teatro Romano di Ferento (Viterbo), nella Rassegna Anfiteatro Festival il 13 ad Albano Laziale, il 17 agosto all’interno del Plautus Festival a Sarsina (Forlì-Cesena), il 19 nel Festival “Sui sentieri degli dei” di Agerola (Napoli) e il 20 nel Teatro Romano di Lecce, per poi approdare dall’autunno nei teatri nazionali.

Daniela Poggi e Paolo Graziosi
Daniela Poggi e Paolo Graziosi

La riscrittura di Fabrizio Sinisi sceglie di focalizzare l’azione sulle conseguenze del ritorno di Agamennone, dilatando il tempo che intercorre tra questo ritorno e la sua morte e cortocircuitando i rapporti tra i personaggi con una lingua robusta, limpidissima, capace di tenere insieme altezze poetiche e concretezza teatrale.

“Agamennone, re e capo della spedizione achea contro Troia, sbarca ad Argo dopo dieci anni di guerra – afferma l’autore Fabrizio Sinisi – porta con sé Cassandra, giovane preda di guerra, amante e profetessa. Ad attenderlo Clitemnestra, piena di rancore e di vendetta per il sacrificio della figlia Ifigenia sull’altare della guerra. Ma lo aspetta anche Argo stessa: la città, la polis, nella persona del suo Coro.

Agamennone di Eschilo

Agamennone e Cassandra moriranno nella congiura di Clitemnestra. Questa è la trama, celeberrima, dell’Agamennone di Eschilo, primo pannello del trittico di Orestea. Ma chi sono queste figure? Chi e cosa sono adesso? Agamennone non è più l’uomo della guerra, ma l’uomo della stanchezza e del disincanto, l’uomo che tutto sa perché tutto ha visto e tutto ha provato. Cassandra è la giovane donna, è l’emblema della città di Troia ferita e distrutta e proprio dal fondo di questa rovina vede e sente ogni cosa: Cassandra vive nel profondo, alla radice delle cose. Poi c’è Clitemnestra, la protagonista.

Clitemnestra è il grande conflitto della Donna: rovescia l’attesa di Penelope, da luogo dell’attesa diventa luogo della rabbia, mano del sacrificio; in Clitemnestra l’uomo d’oggi vede la terribile giustizia dell’umano, la febbre dell’esistenza che diventa violenza, il lutto che diventa ferocia. E infine il Coro, lo sfondo dell’esistente: la città, la politica; il Coro è la società e, dunque, la paura e lo scandalo. Tutto si svolge nell’arco di tempo che va dall’arrivo di Agamennone ad Argo fino al suo omicidio. In questo lasso di tempo, tutti i personaggi del dramma vengono a confronto in un agone sfrenato”.

“Rispetto all’originale eschileo – ricorda il regista Alessandro Machìa -, l’autore sceglie tra le altre cose di far dialogare Clitemnestra e Cassandra, immaginando un confronto tra le due donne, che per un attimo sembrano quasi potersi avvicinare.

Un corifeo senza più coro

Unico elemento a rappresentare la dimensione pubblica è il Coro, la Città, la società, qui interpretato da un solo attore, un corifeo senza più coro; una soluzione che di per sé innesca una riflessione sul tema della rappresentanza: la Città infatti in questa riscrittura è ambigua, spesso vile, opportunista, identificata col padrone, incapace ormai di distinguere ciò che giusto e di rappresentare alcunché.

Il tema del rapporto tra la legge del ghènos e quella della pòlis, che attraversa e fonda l’Orestea, qui emerge dall’interno di una questione appunto tutta privata: quella tra una donna e suo marito. Non ci sono le Erinni, Oreste non arriverà a vendicare l’uccisione del padre, non c’è un dio dalla macchina a sancire un ordine nuovo: ogni personaggio è di fronte a se stesso, alla sua memoria, al proprio senso di colpa, al fallimento, al proprio dolore e alla propria immensa solitudine.

La tragedia greca calata nella modernità

Il testo indaga la natura primitiva dell’amore, gli abissi del desiderio, il potere, il rapporto con la bellezza, col tempo e con la vita come rappresentazione, tema quest’ultimo che attraversa tutta la drammaturgia di Sinisi e che la regia segue e mette a tema. La tragedia greca qui è dunque calata nella modernità e, come nella tragedia greca, è la parola a costituire l’azione rappresentata, costantemente riferita ad azioni che avvengono fuori scena, in un altrove che però è il costante presupposto dell’azione scenica stessa.

Ed è sempre la parola a sostenere il movimento degli attori sulla scena: un movimento ridotto al minimo su una scena che immagina una contemporaneità lontana, astratta, una società in disfacimento, post-atomica; un nuovo medioevo nel quale, a dispetto dei progetti di razionalità e di dominio sulla natura e sugli istinti, l’irrazionale emerge sempre di nuovo come l’elemento più proprio dell’essere umano e dove il mitologico sopravvive intatto al di sotto del lògos”.

“Una regina dall’arroganza triste. Vivo arsa di nostalgia, guardo alla mia vita,  a quella che  io ero come una bestia feroce d’inverno da fuori guarda una casa illuminata. Non esiste al mondo creatura capace di amare Clitemnestra, nemmeno Clitemnestra ama Clitemnestra.”

“Con queste frasi – afferma Daniela Poggi – Sinisi ha dato a Clitemnestra un’umanità ferita dal dolore, un dolore che non può placarsi, un dolore che va oltre la vendetta. Vorrebbe poter dimenticare ma lei destina la sua vita ad una morte certa.

Mi sono innamorata di questa donna, sono dentro di lei e a lei voglio regalare il mio dolore. Esiste essere umano al mondo che non porta con se un dolore implacabile?”.

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