Recensione di La cucina arancione di Lorenzo Spurio
La cucina arancione, l’ultima fatica letteraria di Lorenzo Spurio; tanti rappresentanti di un mondo che cambia
E’ vero, il genere racconto in Italia ha poca fortuna, eppure il racconto breve è servito nella storia della letteratura ad anticipare delle vere e proprie rivoluzioni culturali. Leggendo il libro di Lorenzo Spurio, e fin dalle prime pagine, viene subito a mente Lo straniero di Camus.
Tanti stranieri nei racconti brevi de La cucina arancione, distanti dalla nostra vita eppure così vicini al nostro quotidiano, tanti rappresentanti di un mondo che cambia, nei rapporti, nelle sensazioni, nelle reazioni. Un uomo in rivolta che, in questo caso, non ha nulla a che vedere con quello del più noto filosofo algerino, ma che è indice di una insoddisfazione, forse senza reale profondità, prodromica ad un cambiamento della nostra sensibilità sociale e morale. L’agghiacciante semplicità con cui si arriva dal pensiero all’azione corrompe anche la percezione del lettore, che viene guidato a ragionare nello stesso modo dei personaggi che si muovono ne La cucina arancione di Lorenzo Spurio, ombre ostaggio di un pensiero sempre spinto all’eccesso.
La violenza diventa strumento per violentare il violentatore, l’innocente nudità di una bambina inconsapevole si pone, nella mente del pedofilo, come alternativa al pensiero ossessivo di aver causato un incidente stradale, o magari un omicidio colposo:
“Mentre risaliva le scale che conducevano al piano superiore, pensò che c’era come un filo che univa tutti quegli avvenimenti: l’armadio, gli amanti sulla spiaggia, il cane, il bar … se non fosse successo nulla quella notte, sarebbe andata in modo molto diverso. Quegli agenti erano stati una benedizione, tutto sommato”
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