Sbarchi clandestini, il miraggio italiano
Nella notte tra mercoledì 1 e giovedì 2 maggio in provincia di Reggio Calabria la guardia costiera ha soccorso un barcone incagliato tra gli scogli con a bordo 46 persone, 20 dei quali bambini.
L’imbarcazione sembrerebbe provenire dall’Afghanistan.
Anche quest’anno, ancora una volta, la bella stagione ci ripropone il drammatico copione degli sbarchi clandestini, dei morti affogati, degli scafisti senz’anima né pietà.
Gente disperata che risparmia mesi, anni, per affrontare un viaggio che definire della speranza è poco, pagando in media tra i 700 ed i 1000 dollari per imbarcarsi su barconi o gommoni che non potrebbero contenere più di una decina di persone, senza servizi igienici, cibo o acqua.
Parliamo di persone che abbandonano la propria terra e la propria famiglia, alla ricerca di una vita dignitosa. Spesso e volentieri le loro orecchie ascoltano storie di un Paese, l’Italia, in cui c’è ricchezza e lavoro per tutti. Credono che ciò che la TV nazionalpopolare mostra alle loro famiglie sia la vita di tutti gli italiani. Altri invece, quelli che conoscono la reale situazione sociopolitica del nostro Stato, usano le coste della nostra penisola solo come attracco, come scalo per raggiungere altri Paesi europei in cui poter provare realmente a creare un futuro migliore. – Questo è dimostrato anche dalla riduzione degli sbarchi in Italia, ben l’87% in meno tra il 2011 ed il 2012, segno che l’Italia viene considerata quasi alla stregua del proprio Paese d’origine, e non come uno Stato ricco-.
Nonostante la felicità che questi numeri porteranno a molte persone, la netta diminuzione degli sbarchi clandestini, insieme all’incremento dell’emigrazione giovanile, dovrebbe spaventare gli italiani, che senza accorgersene stanno rivivendo gli inizi del ‘900.
L’ipocrisia italiana è però senza limiti. Poverelli i nostri giovani costretti ad emigrare in un Paese straniero a causa dell’assenza di lavoro; villani gli immigrati clandestini, che vengono in Italia solo per fare i criminali o per rubare quei già pochi e rari impieghi ancora disponibili.
Io provo ad analizzare la ragione secondo cui una persona dovrebbe partire dall’Africa, dall’Afghanistan, o da tutta una miriade di stati , imbarcandosi su un barcone che a prima vista non ha speranza di superare la prima onda più alta di 30 cm, sperando di giungere in Italia per fare il delinquente, ma non la trovo.
Non riesco a trovare una spiegazione – oltre alla disperazione, quella vera, alla paura di non superare la notte restando nella propria terra, alla fame, quella che uccide-, che possa costringere un uomo, una donna incinta, una madre con suo figlio – quando questa non è costretta a far imbarcare da sola la propria creatura, affidandola magari a qualche estraneo, con la speranza di dargli un futuro degno di questo nome- a lasciare il luogo in cui vi sono le sue radici, buttandosi nel vuoto, senza aver certezza del domani, se non quella che comunque, in qualsiasi altro luogo, sarà migliore di quello che avrebbe non emigrando.
Agli italiani non chiedo niente, non la pazienza, non la tolleranza, non l’amore per i clandestini. Chiedo però che vi sia il rispetto per la vita e per l’essere umano, tema caro a molti – ma solo in alcune situazioni- a prescindere dalla sua provenienza, dalla sua pelle, dalla sua lingua.